L’antica origine e la tradizionalità di questo piatto, si evince dalla sua grande diffusione in tutta la provincia di Lecce ove da paese a paese si rilevano sovente alcune piccole varianti.
In alcuni paesi ad esempio, si ritiene indispensabile cuocere le piante di rosolaccio insieme a quelle dell’acetosa in gergo lapazzu, come ricordato da un antico detto:“ paparina, paparina, senza lapazzu cc’è ‘ndi fazzu”, oppure aromatizzare la preparazione con delle aromatiche scorzette d’arancia.
Nel Capo di Leuca questo piatto prende il nome di fritta , e un tempo costituiva anche una sorta di pasto rituale consumato intorno a strepitanti falò in delle sorta di bucoliche celebrazioni legate in qualche modo al periodo Quaresimale.
Con il termine paparine si indica in Salento le piante di rosolaccio o papavero rosso (papaver rhoeas), comunissime infestanti delle colture di cereali. Queste vengono raccolte dall’autunno sino all’inizio della primavera quando si trovano ancora allo stadio di rosette di foglie basali, quindi ancora tenere e prive dei boccioli fiorali.
INGREDIENTI:
- 1 kg pararina;
- olive nere q.b.;
- 1 peperoncino;
- 1 spicchio d’aglio;
- sale q.b.
- olio evo q.b.
PREPARAZIONE:
Vengono pulite eliminando le foglie vecchie o maltrattate o indurite e poi vengono risciacquate parecchie volte.
Vengono quindi poste ancora grondanti di acqua, in una pentola con un filo d’olio di frantoio, nel quale è stato fatto rosolare qualche spicchio d’aglio e si lasciano stufare lentamente a pentola coperta.
Quando i rosolacci sono quasi cotti, si aggiunge una manciata di olive nere in salamoia, della varietà cellina i Nardò, una spruzzatina di aceto e a piacere del peperoncino.
Si aggiusta quindi di sale e si completa la cottura.
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