Luigi Einaudi nell’opera intitolata “ Prediche inutili”, risalente agli ultimi anni del 1950, già allora scriveva, a proposito della disoccupazione, che il “disoccupato intellettuale” è il giovane al quale, bolli e firme di personaggi autorevoli e forniti d’autorità legale, hanno fatto sperare di poter esercitare professioni o coprire pubblici impieghi.
Questo giovane, dunque, diventa “moralmente disoccupato “se non consegue quel successo professionale o non riesce ad entrare in quell’ufficio che dal possesso del diploma si riprometteva di conseguire.
Una dotta dissertazione è tracciata nel capitolo del libro dedicato alla “ Scuola e alla libertà” che tende ad indagare sull’ordinamento che meglio risponde a tale principio. L’economista, nonché giornalista, sosteneva che le libertà civili e politiche liberali sono legate alla libertà economica. La libertà, inoltre, a detta di L. Einaudi, vive perché vuole la discussione fra essa e l’errore. Solo attraverso l’errore si giunge per tentativi, sempre ripresi e mai conchiusi, alla verità.
Ritornando al problema della disoccupazione, domandiamoci come esso abbia un’ incidenza superiore nelle nostre terre.
È vero che nel corso degli anni la formazione, l’istruzione, l’educazione, la discussione sono riuscite a ridurre al minimo il rischio che i “non pensanti” prevalessero sui “pensanti”, ma è pur vero che i diplomi e carte, come mette in evidenza l’economista, non sono nulla di più e forse parecchio di meno dei decreti di riconoscimento di corpi morali, di associazioni filantropiche, etc.
Quanti giovani meridionali con quegli stessi pezzi di carta, conseguiti grazie all’impegno e allo studio di se medesimi e agli sforzi economici delle loro famiglie, sono emigrati al Nord o all’estero ed hanno trovato fortuna, depauperando però “ il tessuto sociale dei luoghi natii”?
La determinazione politica dei nostri governanti, pertanto, dovrà volgere a rinvigorire il “lavoro di qualità” e dovrà flettere sul problema del lavoro che cambia e sulle difficoltà nel far intraprendere un “rapporto di lavoro gratificante, specialmente a chi decide di puntare sulla professionalità e a chi decide di non andare via dal Sud d’Italia per una scelta convinta”.
Ed ecco che si acuisce, in tanti giovani meridionali, a cui è sbarrato l’accesso nel mondo del lavoro, la necessità di proporsi in un consono contesto lavorativo, in cui molto spesso si è sottopagati o addirittura non retribuiti, per esperire al meglio tempi e ritmi di lavoro indispensabili e per sentire meno opprimente il fatto di essere “ moralmente disoccupati”.
Ester Lucchese
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