27.01.2014 - Ci si chiede perchè le pagine delle nostra storia, a volte, non corrispondono alla verità e soprattutto al modo in cui si svolsero i fatti concreti. E’ dato rilevare,pertanto, che la storia ufficiale ci ha consegnato una versione non veritiera di quello che fu il fenomeno del brigantaggio nelle terre del sud d’ Italia dopo l’unificazione del 1861. Capire il perchè del presente e delle cause endemiche che affliggono le nostre terre è un dovere per capire chi sono e chi siamo tutti noi che viviamo in questa area geografica e che cerchiamo, nostro malgrado,di veder rifiorire quel Sud d' Italia così ricco di risorse e così poco valorizzato. Lo scritto, frutto di una piccola ricerca personale, segue questa intenzione ed intende risvegliare l'ormai sopito orgoglio della nostra gente che in molti casi ha saputo fare di necessità virtù. Bisogna porsi a favore o contro il fenomeno del brigantaggio, dunque, accoglierlo o condannarlo? Mi domando, spesso come mai, dunque, siano persistenti alcune condizioni che pongono il nostro Sud in netto svantaggio rispetto ad un’altra parte d’Italia. Per fortuna mi viene incontro la storia che, attraverso le fonti scritte e non, ci aiuta ad evitare un certo grado di contaminazione e di mistificazione, in grado, come in questo caso, di smontare o destrutturare un documento per mettere in luce, invece, la verità dei fatti. Chi a cuore naturalmente le proprie radici,come i meridionalisti, alcuni scrittori e politici, ha cercato di persona di avvalersi della documentazione diretta per riuscire a mostrare nella propria chiarezza oggettiva la realtà che fu, al di là dell’ideologia del ceto dominante. La mia personale ricerca compilativa parte da queste considerazioni e si avvale del materiale, raccolto nel corso degli anni,di illustri studiosi di storia contemporanea.
L’Italia post unitaria con la Destra liberale al potere, a causa dell’inasprimento delle tasse, si mostrò insensibile alla situazione del Sud dove non si era attuata la formazione della nuova classe sociale operaia, per cui molti contadini ed ex militari dell’esercito borbonico diedero vita al brigantaggio. Il fenomeno negli anni Sessanta e Settanta aveva interessato buona parte delle terre del Mezzogiorno. La politica del governo fu, in realtà, condizionata dalla relazione fatta da Giuseppe Massari, deputato alla Camera, componente della Commissione d’ inchiesta sul Mezzogiorno il quale aveva attribuito le cause del fenomeno all’oppressione borbonica che aveva tenuto il popolo in uno stato di degrado, di ignoranza e di illegalità. Il calabrese onorevole Miceli, invece, attribuiva le cause del fenomeno alla questione agraria secondo la quale non vi era stata una distribuzione delle terre e la rispettiva divisione, mentre i terreni ecclesiastici, venduti all’asta, avevano contribuito a rafforzare la grande proprietà. “Il brigantaggio- sosteneva Massari- era la protesta selvaggia e brutale della miseria contro secolari ingiustizie, congiunta ad altri mali che la infausta signorìa dei Borboni aveva creato e aveva lasciati nelle province napoletane: l’ignoranza, la superstizione e segnatamente, la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia.” Miceli metteva in evidenza il fatto che se si sorpassavano i limiti della repressione, anziché distruggere il brigantaggio, lo si sarebbe reso perenne e sempre più feroce. Secondo il deputato calabrese solo un’audace legislazione, capace di distribuire ai contadini le terre demaniali, avrebbe potuto risolvere il problema alla radice e avvicinare le popolazioni rurali meridionali al nuovo Stato. I problemi del Sud venivano, dunque, visti e valutati invece alla luce di presupposti errati. Gli interventi anti-brigantaggio mirarono, esclusivamente alla repressione militare senza analizzare le cause profonde del fenomeno. Fu determinante, al riguardo, la “Legge Pica” del 15 agosto 1863, quando venne proclamato lo stato d’assedio, “con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, di evasi e pregiudicati”. Le rappresaglie furono atroci e sanguinose, da entrambe le parti, e spesso le masse furono coinvolte, loro malgrado, negli scontri pagando con la distruzione di interi villaggi e le fucilazioni, senza processo, di centinaia di contadini ritenuti, a torto, fiancheggiatori dei briganti. Si calcola che tra il 1861 ed il 1865 rimasero uccisi in combattimento o passati per armi 5212 briganti. L’avversato e temuto brigante, da parte dei piemontesi, secondo il mito popolare, era “il paladino del povero, cavalleresco e generoso riparatore dei torti. Il popolino accoglieva le bande come liberatrici con luminarie, feste e Te Deum, perché il clero era tutto schierato dalla loro parte”. Numerosi furono i briganti del periodo che passarono alla storia. Carmine “Donatello” Crocco, originario di Rionero in Vulture (Basilicata), fu uno dei più famosi briganti di quel periodo. Egli riuscì a radunare sotto il suo comando circa duemila uomini, compiendo scorribande tra Basilicata, Campania, Molise e Puglia, affiancato da luogotenenti come Ninco Nanco e Giuseppe Caruso. Altri noti furono Luigi “Schiavone” Alonzi, che agì tra l’ex Regno borbonico e lo Stato Pontificio, e Michele “Colonnello” Caruso, uno dei più temibili briganti che operarono in Capitanata. Anche le donne parteciparono attivamente alle rivolte post-unitarie, come Filomena Pennacchio, Michelina Di Cesare, Maria Maddalena De Lellis e Maria Oliverio. Il fenomeno del brigantaggio riassunse in sé, in quegli anni, il più vasto e complesso problema meridionale. Di fronte allo scontento del Mezzogiorno, si assistette invece ad una saldatura degli interessi dei latifondisti meridionali e della borghesia industriale settentrionale, che non riconobbero alcuna legittimità politica alle richieste contadine. L’unità d’ Italia nel Mezzogiorno con l’eliminazione del Regno delle Due Sicilie e l’annessione del Sud al Regno sabaudo piemontese, aveva arrecato gravi danni al Meridione ed inoltre non era stata preceduta da un’adeguata evoluzione del sistema sociale. I burocrati piemontesi non avevano tenuto conto degli usi e dei costumi antichi meridionali. La guerriglia prolungata dei briganti, tuttavia, non ebbe una direzione e degli obiettivi strategici e politici, per questo, i rivoltosi furono sconfitti. La gente del Sud, in quegli anni, a causa delle difficili condizioni di vita, preferì emigrare al Nord o all’estero, Stati Uniti ed Argentina soprattutto e ciò determinò un impoverimento del nostro Sud, sotto ogni punto di vista.La mancanza di un vero progetto politico e di un’alleanza con gli stessi contadini sbaragliò sul nascere l’idea che un movimento di grandi dimensioni avrebbe potuto far realizzare concretamente il proprio ideale di autonomia .
Note bibliografiche
Le citazioni riportate sono state tratte da STORIA D’ITALIA di Indro Montanelli e dal manuale L’ OPERAZIONE STORICA S. Guarracino e A. De Bernardi, vol.III
Ester Lucchese
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