18.10.2016 - Dopo 15 anni e 4 mesi, finalmente, si sta delineando il processo per il rogo che il 25 giugno 2001 distrusse la pineta di Lido Silvana.
«Il fuoco ebbe origine dai terreni di proprietà della società Il Barco». È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, depositate dopo 4 anni e 6 mesi dalla lettura del dispositivo, dalla corte d’appello di Potenza.
Il 24 aprile del 2012, in particolare, la corte d’appello di Potenza respinse
il ricorso di uno degli imputati e confermò la sentenza dell’8 aprile 2009 con la quale fu condannato a 1 anno e 6 mesi di reclusione (pena condonata per via dell’indulto e non menzione) Vincenzo
Polini (difeso dall’avvocato Eligio Curci), titolare della tenuta agricola della società Il Barco, ed assolti, invece, gli altri due imputati, entrambi assistiti dall’avvocato Egidio Albanese,
che rispondevano di incendio colposo: Vincenzo Petio, dirigente della Chemipul, società che gestiva i lavoratori socialmente utili, e Luigi Rana, capo operaio che era al lavoro in quella zona il
giorno dell’incendio.
La sentenza d’appello confermò la decisione del giudice monocratico del
Tribunale di Potenza (competente in quanto tra le parti lese figura un magistrato in servizio a Taranto all’epoca dei fatti) nella quale erano anche scagionati in primo grado anche i responsabili
civili: l’Amministrazione provinciale di Taranto (rappresentata in giudizio dall’avvocato Sergio Torsella) e la stessa società Chemipul.
Il giudice dispose il risarcimento dei danni nei confronti
delle parti civili e il pagamento di provvisionali di 40mila euro e 50mila euro per alcuni proprietari delle abitazioni danneggiate dall’incendio (costituitisi tramite l’avvocato Carlo Petrone) e
di 100.000 euro per i 175 condomini del villaggio «Fatamorgana» rappresentati in giudizio dall’avv. Fabio Alabrese.
Secondo i giudici lucani è ampiamente provato che «il
fuoco ebbe origine proprio nei terreni di proprietà della società Il Barco, ove si stavano bruciando ristoppie, non solo in violazione di norme di elementare prudenza, atteso il forte vento da
nord-ovest, che avrebbe dovuto sconsigliare di effettuare simili operazioni, ma anche perché il terreno seminativo non era provvisto di precese e il bosco delle cannedde sempre di proprietà del
Barco, era privo anche di fasce taglia fuoco. Anche in questo caso - scrivono i giudici - sono state violate norme di elementare prudenza, atteso che, data la direzione del vento, la sua forza e
la presenza di quel canale naturale ubicato in una autentica depressione, pieno zeppo di vegetazione anche secca». Insomma, per la corte d’appello «una grave imprudenza e quindi una elevata colpa
generica, oltre che una specifica e plurima violazione di norme poste a salvaguardia dell’ambiente, della incolumità delle persone e dei beni pubblici e privati».
Il mancato deposito delle motivazioni aveva sinora
impedito all’avvocato Eligio Curci, difensore dell’imputato Polini, di ricorrere in Corte di Cassazione.
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